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SE DICI DONNA, DICI LEADER…

Collaborazione, flessibilità, mediazione, altruismo e ascolto sono condizioni necessarie per tirare fuori il meglio dalle persone con cui entriamo in relazione, collaboriamo e con cui ci confrontiamo quotidianamente. E anche le caratteristiche che accomunano le leader donne, anche secondo i dati di uno studio condotto dalla società di consulenza Caliper, che ha analizzato lo stile di 59 donne in posizione di comando.

Noi donne fin dall’infanzia veniamo spinte a usare le nostre competenze sociali e la nostra intelligenza emotiva, per esempio non vergognandoci di manifestare i sentimenti in pubblico, come felicità ma anche pianto. Saper esporre le fragilità ci rende più empatiche con quelle degli altri: è un effetto domino naturale.

L’empatia dunque è fra le caratteristiche che si richiedono a un buon leader, non a caso Steve Jobs, quando gli venne chiesto quale fosse il suo modello di business, rispose i Beatles. Quattro ragazzi che sapevano tenere in equilibrio obiettivi privati e di gruppo, dimostrando che il risultato è più imponente della somma delle parti.

SOLISTI VS TEAM

Nel business le grandi cose non le fa una sola grande persona, ma un team. Il fatto che Jobs abbia scelto i Beatles e non i Queen, per esempio, è molto significativo. Nel business che funziona non esistono solisti alla Freddy Mercury, ma voci diverse in grado di armonizzarsi in vista di una visione comune.

Il leader è l’ideatore di questa visione, e questo è ciò che lo rende tale, ma è il sapere lavorare insieme agli altri, è l’unica cosa che permette a questa visione di realizzarsi nella realtà. Ma nonostante queste abilità siano connaturate nella donna, molte tendono a vedersi come il centro di una rete piuttosto che l’apice di una piramide. Anche se quando uomini e donne hanno voce paritaria nei consigli di amministrazione c’è maggior successo.

DONNE E PREGIUDIZI

Purtroppo però permane ancora un’oggettiva difficoltà da parte delle donne, specialmente quelle che puntano a posizioni di vertice, a essere percepite come ‘capaci’ o affidabili per quel ruolo. Una delle sfide più insidiose è il convivere con le responsabilità della vita lavorativa e di quella privata, e agire contro i pregiudizi legati alla loro effettiva capacità di governare, di decidere, di comandare per il fatto di avere una famiglia, dei figli, di essere ‘femmine’.

L’idea di una donna ancora molto legata al lavoro di cura porta con sé l’idea che, in ruoli di vertice, una donna non possa essere mai ‘abbastanza’: mai abbastanza forte, mai abbastanza assertiva, mai abbastanza presente, mai abbastanza ‘maschile’. E quando si mostra molto decisa (per non venir bollata come debole e quindi non qualificata per fare il capo) viene accusata di essere dura e prepotente.

DOPPIO CIECO

È il paradosso del ‘double bind’, ovvero la quasi impossibile conciliazione tra il doversi mostrare abbastanza toste per guidare e amministrare, e il rischio di essere bollate come aggressive. In pratica, la donna è penalizzata quando mette in campo alcuni tratti della leadership maschile tradizionale (forza, comando, durezza, decisione, ambizione). Se infatti nell’uomo tali caratteristiche sono accettate e addirittura richieste perché danno sicurezza, nelle donne spiazzano e sono viste con sospetto e diffidenza. Un paradosso che non ha risparmiato nemmeno Hillary Clinton alle prese nel 2008 con una campagna per la nomination democratica per le presidenziali americane (persa contro Obama).

Eppure , nonostante una certa titubanza personale, le donne  hanno tante qualità quando ricoprono ruoli di potere. Alle doti accertate si aggiunge, il più delle volte, una preparazione superiore alla media e un’attitudine ad acquisire nuove competenze che supera di gran lunga quella di molti uomini.

Uno studio del Peterson Institute for international economics di Washington, riguardante 22 mila imprese in 91 Paesi, segnala la grande capacità delle donne a generare utile quando sono alla guida di un’azienda. Secondo i ricercatori americani, infatti, le imprese dove almeno il 30 per cento del board è rosa conquistano un incremento del 6 per cento della quota di utile netto.

ESEMPI DI SUCCESSO

Il caso Pomellato fornisce un esempio possente di questo tipo di leadership femminile. Dopo essere stata brand manager per Armani e Vice Presidente di Bulgari, Sabina Belli è diventata Ceo del Gruppo, avendo come missione quella di portarlo ad essere tra i primi dieci marchi globali di gioielleria. Cosa può aver spinto i vertici di Kering, il global Luxury Group divenuto proprietario di Pomellato, e tanti altri marchi famosi come Gucci, Bottega Veneta, Balenciaga, Alexander McQueen, Brioni, Bouncheron ed altri, a scegliere la Belli per traghettare Pomellato nel futuro? Certamente un curriculum di tutto rispetto, ma non solo. A volte i curricula non bastano. Occorre possedere altro. Sabina Belli questo “altro” ha dimostrato di averlo in tante sfide trasformate in successi.

Per ottenere consenso, le donne lavorano mediamente di più, sono molto preparate e si formano continuamente per dimostrare di meritare il posto che è stato loro affidato.

Un altro esempio: Silvia Candiani, Amministratore Delegato di Microsoft Italia. Si tratta della prima donna a ricoprire questo ruolo. Un fatto di per sé straordinario se pensate che la filiale italiana del colosso americano conta 850 collaboratori e una rete di 10 mila partner sul territorio.

Prima di entrare in Microsoft, dove negli ultimi tre anni aveva guidato la divisione Consumer e Channel per l’area dell’Europa Centrale e dell’Est, Silvia Candiani ha maturato una lunga esperienza in Vodafone, McKinsey e San Paolo Imi, a riprova di una preparazione eccellente e di una carriera costruita nel tempo.

E se ve la immaginate come una virago, dal temperamento risoluto e dedita esclusivamente alla carriera, è giusto sappiate che Silvia Candiani è una “mamma, una moglie e una manager in ordine sparso”, come lei stessa si definisce, in pratica una donna capace di conciliare vita privata e professionale senza rinunciare a se stessa.

Insomma le donne al comando fanno crescere l’utile dell’azienda e la notizia la confermano non solo le ricerche di mercato. Sono i fatti, gli eventi, le storie a ricordarci quotidianamente quanto l’apporto femminile al mondo del lavoro sia una fonte inesauribile di sorprese e ricchezza per tutti. Non dar seguito al trend positivo che le vede sempre più affermate e ai vertici della società civile, sarebbe come rinunciare ad un ottimo affare… e questo, i businessman non lo fanno mai!

L’unico consiglio che quindi voglio suggerire è siate donne e andatene fiere. Se volete il successo questo non è solo il primo passo, ma la conditio indispensabile.