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I BIMBI GRANDI NON PIANGONO… ANCHE QUANDO FAREBBE LORO BENE. MA ESSERE RESILIENTI E’ UN’ALTRA COSA

Ci hanno insegnato a negarle. A escluderle. A guardarle con diffidenza, a neutralizzarle. Quante volte ci siamo sentiti dire “i bimbi grandi non piangono”, per parafrasare il testo di una delle più belle canzoni di Zucchero, Diamante.

I bimbi grandi non esistono, ci sono i bimbi e ci sono i grandi. Penso, mentre discuto fra adulti, quanto sia importante non negare le emozioni. Perché ogni emozione non è altro che la voce dei nostri istinti… conservazione, preservazione, della specie, difesa e attacco… Senza, ci saremmo esistiti tanto tempo fa.

La vera sfida non è quindi quella di essere capaci di sradicare, ma di educare alle emozioni. Soprattutto i nostri figli, se vogliamo che diventino adulti resilienti. Partendo da noi stessi. Molti genitori lo sanno. Pochi riescono ad agire di conseguenza.

Spesso, siamo più bravi ad insegnare ad altri ciò che non sappiamo fare, che provare noi a cambiare…

Non è necessario essere genitori speciali o avere chissà quali competenze – spiega Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, nel suo libro Educare alle emozioni -. Per educare davvero serve soprattutto saper ascoltare, riuscire a percepire lo stato emotivo del bambino, entrare nella sua sregolazione interiore. E saper fare chiarezza. Con decisione e autorità, ma anche con dolcezza. E’ dunque inutile e controproducente arrabbiarsi per i capricci dei bambini. Mostrare rabbia o stanchezza o mostrarsi confusi aggrava solo la situazione: si deve rimanere tranquilli, far vedere che mamma o papà sanno addomesticare e placare la sua esplosività”.

In altre parole, sono i genitori con ciò che dicono e fanno quando il piccolo sperimenta uno stato emotivo, a fornire ai bambini quella competenza che si struttura, organizza e sviluppa nell’età evolutiva e che poi durerà per tutta la vita. Ma i genitori come possono mettere in pratica questa abilità se non la conoscono neppure loro?

Come possiamo educare i nostri figli alla buona pratica delle emozioni, se non sappiamo farlo noi stessi?

Per questo oggi non vi parlerò di come educare i bambini alle emozioni, ma come imparare ad affrontarle e gestirle noi adulti, per primi.

COSA I GRANDI POSSONO IMPARARE DALLE EMOZIONI

Ci sono adulti che riescono ad affrontare e a superare eventi negativi uscendovi più forti e altri che ne rimangono schiacciati. Cosa fa la differenza?
Una risposta arriva dalla ricerca scientifica. Intervistando le persone sopravvissute all’Olocausto, gli psicologi hanno evidenziato tre caratteristiche:

  • La capacità di esercitare un controllo
  • La comprensibilità
  • Il significato all’interno del senso di una azione o di un evento

Chi ha presentato questi tre tratti è riuscito più facilmente a riadattarsi alla vita post prigionia e non ha scelto il suicidio (studi di Antonovsky, 1980, 1987).

In parole semplici il ruolo principe è quello svolto dalle emozioni positive, che dimostrano di essere in grado di ampliare le risorse intellettuali, fisiche e sociali costituendo riserve alle quali attingere di fronte a una minaccia.

Le emozioni positive aiutano la nostra mente ad espandersi, ad essere più tollerante e creativa, a risolvere in modo più brillante i problemi, aprendoci a più visioni e a una comprensione più ampia delle motivazione.

Le emozioni, seppur denigrate per tanto tempo, sono indispensabili a sviluppare resilienza: la capacità di resistere agli urti della vita senza spezzarsi, mantenendo e potenziando le proprio risorse sul piano personale e sociale.

La persona resiliente è capace di considerare la realtà con le sue potenzialità e i suoi ostacoli, sa che non tutto potrà andare come desidera, ma metterà comunque in atto delle strategie per superare nel modo migliore gli eventi difficili e su questo avrà controllo.

Dunque l’impegno, la creatività, la fiducia e la responsabilità nei compiti che scegliamo di compiere, unite all’instaurare relazioni positive improntate alla autenticità, alla empatia, alla accettazione, risultano tutte dimensioni protettive. Per sviluppare resilienza è infatti necessario calore, affettività, supporto emotivo e la presenza di confini ragionevoli e ben definiti. Insieme a coesione, flessibilità, comunicazione aperta, capacità di problem solving e di sostengo del proprio sistema di convinzioni.

IL COACHING PER SVILUPPARE RESILIENZA

Tutto questo si può apprendere?
Sì e sono molti gli strumenti che lo permettono. Il coaching è uno di questi, capace di aprire a nuove prospettive, anche quelle che non siamo abituati a considerare. Capace di insegnarci a comprendere la natura delle emozioni che ci abitano, senza che ce ne dobbiamo liberare per continuare nel nostro tragitto.

Conoscere le emozioni buone così come quelle cattive, ci permetterà di usarle a nostro vantaggio, così che non saremo più obbligati a intraprendere battaglie insensate già perse in partenza. Non saremo, per usare una metafora, costretti a combattere contro i mulini a vento. Di certo non vogliamo diventare i Don Chisciotte del terzo millennio.

Il Coaching inoltre, lavorando sul dialogo interno, ci rende capaci di considerare la realtà dal suo lato migliore. Come sul riconoscimento delle responsabilità e sulle cose su cui si può agire, nonchè la conoscenza di sé e di quanto ci si sente capaci di dare in un dato contesto.

Per riassumere il Coaching ci permette di allenare le tre caratteristiche che hanno le persone capaci di non spezzarsi di fronte alle avversità e uscirne vincitori: prendersi la responsabilità, saper scegliere in base alla natura di ciò che accade nel contesto.

Diventare adulti più resilienti è un dovere che dovremmo assumerci tutti, ancor più quando abbiamo la responsabilità genitoriale. E soprattutto se vogliamo che i nostri figli, siano domani dei grandi felici, realizzati e padroni della loro vita. I bimbi e i grandi resilienti si permettono di piangere. A dispetto di ciò che dice la gente!