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E SE LA BELLEZZA FOSSE SOLO UN GRANDE BLUFF? Pur sapendo che non regala la felicità, la rincorriamo lo stesso…

La bellezza è ossessione. E ha il potere di decretare l’iniziale simpatia verso l’altro. E’ la prima selezione, l’immediata valutazione. Un giudizio inappellabile a cui non è possibile sottrarsi. Se si nega questo si mente a se stessi. La nostra epoca è ossessionata dalla bellezza”.

E’ Carla a raccontarsi, una manager di successo, una mia coachee.

Talvolta sembra sia il solo metro di valutazione. E’ sconcertante. Non riconosco più il mondo, non mi riconosco più nel mondo”.

Difficile darle torto. E più mi guardo intorno, più mi accorgo che ciò che viene considerato bello non è ciò che rende le persone felici. Anzi, il suo opposto. Il canone di bellezza, che abbiamo scelto e ci è stato imposto, risponde più a un bisogno di infelicità.

“Che senso ha misurare le persone in relazione alla loro bellezza? Quando i canoni a cui risponde sono spesso schizofrenici se li guardiamo in prospettiva. Belle erano considerate le donne giraffa Kayan per i loro tatuaggi maori, le orientali dalla pelle color porcellana, le donne di Lautrec, come quelle di Botero. E’ così incoerente la bellezza se la paragoniamo nel tempo. E’ tutto e l’opposto di tutto. E oggi questa non sincronia si fa ancora più forte: punta alla esclusività nell’epoca della massima condivisione”.

La passione con cui Carla si racconta fa passare la bellezza estetica in secondo piano, per un attimo. La guardo e vedo solo una donna che porta su di sé i segni del tempo, delle vittorie e delle sconfitte, dei traguardi raggiunti e di quelli persi, il suo sapere ricco di culture trasversali e contaminate così da non essere rigidamente incollate allo stereotipo del posto in cui ha scelto, oggi, di vivere. E’ interessante, colta e ironica eppure non si riconosce.

Mio marito ha scelto una donna più giovane. Non più intelligente, con una carriera migliore della mia o più simpatica. Solo più giovane e quindi più bella. E mio marito, credimi Angela, non aveva bisogno di una donna più giovane per sentirsi felice”.

Curioso come oggi la bellezza sia diventata un’esca per blandire l’anima. Corpi immaturi di sogni non ancora infranti. Come ci mostrano le scheletriche modelle attraverso abiti che si vorrebbe poter vestire per sentirsi parte di un’elite.

Per fortuna non tutti si inchinano a questo stereotipo. Penso alle modelle curvy, che osano mostrare ciò che è molto più reale di quello che invece si nasconde: la pancetta, qualche chilo in più, la cellulite, le rughe e i capelli bianchi.

Nella rinascimento le forme arrotondate erano considerate l’archetipo della bellezza”, mi ricorda Carla. Da allora molto è cambiato. Ciò che andrebbe fatto è ripensare al concetto di peso. Non può tutto ridursi a un numero, come l’età.

E poi tutte quelle frasi che dovrebbero essere consolotarie, ma che spesso riescono solo a peggiorare il problema: la bellezza non è tutto, è importante il carattere, l’impegnoSono queste le frasi che diresti a tua figlia adolescente che lotta perché non riscuote tutti quei like sui social che invece invadono i profili delle amiche longilinee, a prescindere dai risultati scolastici e dall’intelligenza colta, come direbbe Guccini?”.

Direi proprio di no. Ipocrisia e crudeltà, a questo mi rimanda tanta retorica.

BODY POSITIVE

Per fortuna a questo accanimento, c’è chi si ribella, come il body positive: un movimento di protesta spontaneo nato per quei corpi emarginati, senza privilegi. Persone con un corpo che non viene considerato bello ma che hanno bisogno come tutti di uno spazio sicuro in cui festeggiare ciò che le rende così belle.

Il termine body positive nasce tra il 2010 e il 2011 per merito di donne oversize, il più delle volte di colore, che postavano dei contenuti sui social media con l’hashtag #BodyPositivity. Creato per promuovere un messaggio positivo dedicato a chi ha un corpo che non rientra nei canoni pre-definiti, è riuscito ad abbracciare a livello globale le reazioni delle persone che sono contro i restrittivi standard di bellezza imposti dai media. Ha segnato la decisione collettiva di autoproclamarsi, di dire «Io esisto». Unirsi al movimento body positive è un gesto radicale di amore e cura per se stessi.

Qualcosa per fortuna sta mutando.

Perché la visibilità è così importante?”, chiede ancora Carla.

Per sopravvivenza, penso. Quando differiamo dall’unico ideale che vuole rappresentarci, diveniamo in qualche modo dei diversi. Se un aspetto ben preciso viene classificato come bello, non è difficile arrivare alla conclusione che ogni altro, necessariamente, non lo è.

E questa differenza la si paga in autostima: se una persona non ha fiducia nel proprio corpo, è meno probabile che vada a fare colloqui di lavoro, è meno probabile che voglia sposarsi, è meno probabile che voglia andare in vacanza. È noto che il 52% dei giovani si preoccupa di come appare e il 30% si metterà in disparte, si isolerà.

Come racconta nel suo TedX talk Michelle Elman: ha subito 13 interventi che le hanno lasciato numerose cicatrici sulla pancia. “Ero una sopravvissuta, il mio corpo aveva lottato ma lo odiavo. Odiavo il mio corpo perché mi rendeva diversa. Odiavo il mio corpo perché quando avevo dieci anni, e ho indossato per la prima volta il bikini, le persone continuavano a fissarmi le cicatrici – le cicatrici che ha lasciato la chirurgia – con stupore, pietà e orrore”.

Per fortuna il modo di parlare di bellezza e il modo in cui appariamo sta cambiando e ora sia la gentilezza sia l’accettazione occupano uno spazio  piano piano più rilevante. Anche se il percorso verso l’autoaccettazione è in salita. Lo so io e lo sa CarLa. E lo sa ogni donna e ogni uomo che si scopre diverso dai modelli di riferimento. E poco importa se vanta una importante carriera e un cv di tutto rispetto. Tutto questo sembra ammutolire di fronte alla grandezza della bellezza stereotipata. Un grande sogno, un grande bluff.

NESSUNO E’ PERFETTO

Nessuno è perfetto, eppure spesso non riusciamo a perdonarci proprio di non essere  “perfetti” in una o più situazioni della vita. Questo tipo di pensieri ci ruba la serenità, e finisce per diventare un autosabotaggio. Uno spinoso compagno di viaggio.

Alla fine ciò che conta è accettare di essere come siamo e cercare di migliorarsi con serenità puntando non alla perfezione, ma alla positiva concretezza delle nostre caratteristiche. Guardare a noi stessi come a degli sconfitti, è come condurre una battaglia contro i mulini a vento. Se osassimo abbandonare per un attimo i canoni ci renderemmo conto che i corpi, i colori, le sfumature e tutto ciò che siamo sono così unici che diventa assurda anche solo l’idea di fare paragoni. In fondo, accettarsi significa imparare a vedersi: il primo passo di un lungo viaggio che ci impegnerà fino all’ultimo dei nostri giorni.

La sessione con Carla è terminata, è una stata profonda discesa nella complessità del bello nel tentativo di liberarlo dall’ossessivo imperativo della metrica.

E mentre riordino alcuni appunti dimenticati sulla scrivania, ritrovo le parole del giornale per cui scriveva Anna Politkovskaja: “Anna era bella e con il passare del tempo diventava sempre più bella, perché in età adulta dal viso inizia a trasparire l’anima”.

Forse il marito di Carla, questo lo ha dimenticato o forse non ha mai saputo vederlo.