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COME HO SPIEGATO IL RAZZISMO ALLE MIE FIGLIE

C’è una cosa che ho sempre apprezzato nei bambini, la loro capacità di andare oltre. Oltre il colore della pelle, oltre le diversità di genere e di cultura. Oltre le paure dei grandi, oltre il credo religioso e politico. 

Un tema quello della diversità con cui mi sto confrontando particolarmente in questi giorni, mentre osservo le mie figlie giocare a costruire castelli di sabbia in riva al mare, con bambini di nazionalità ed etnie le più diverse. E le parole di Nelson Mandela che riecheggiano nella testa. 

“Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza”, scriveva il leader del movimento sudafricano contro l’apartheid in Long Walk to Freedom, la sua autobiografia -. Gli uomini imparano a odiare e se possono imparare a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l’amore, per il cuore umano, è più naturale dell’odio”.

Parole forti e piene di speranza, ma che oggi con tutta la rabbia che sembra rinforzarsi in ogni dove, sembrano solo più un vago sogno.

“Mamma, cosa vuol dire razzismo”, mi chiede mia figlia prendendo in mano il libro di Mandela. E’ difficile spiegare cos’è il razzismo ai bambini. Mi pare addirittura un sacrilegio, un modo ingrato per privarli della loro capacità di guardare l’altro in un modo che molti grandi non sanno più fare… Eppure non ci si può sottrarre da questo compito e insegnare loro quanto male possono fare i comportamenti sbagliati in chi li subisce.

“Mamma, ma i razzisti sono cattivi?”. Domanda complessa, mi si gela il sangue e quasi mi salgono le lacrime agli occhi. “Cattivi… non so, sono per lo più persone che non conoscono la storia, la geografia, e nemmeno la scienza. Non sanno che tutti gli esseri umani appartengono alla stessa razza, anche se la pelle può avere un colore diverso”.

Un tempo forse si poteva associare il razzismo alla violenza, non che fosse più semplice ma sicuramente era più facile contestualizzarlo. Oggi esiste anche un razzismo non violento, in cui gesti come sguardi e parole, rivelano pregiudizi profondi. 

Hate Speech è il termine corretto: l’utilizzo di parole crude, ostili, discriminanti e di incitazione alla violenza che si rivolgono a bersagli individuati in gruppi sociali, etnici, religiosi o culturali. I social network hanno amplificato gli hate speech e questo ha influito sull’immaginario dei bambini e degli adolescenti, che utilizzano assiduamente i social.

Mi accorgo che ormai è un fenomeno dilagante. Mentre le parole di Mandela quasi sbiadiscono di fronte al mio sconforto.

“Nessuno nasce razzista”, ripeto con insolente decisione fra me e me. Come un naufrago al suo salvatore. Il razzismo è la risposta facile alla complessità che arriva dalla differenza. È un modo per accelerare i ragionamenti, un risparmio cognitivo da cui nascono le descrizioni generalizzate che si basano su poche caratteristiche evidenti, talvolta positive ma la maggior parte delle volte negative.

IL RUOLO DEI GENITORI

E mi accorgo di quanto sia importante il ruolo dei genitori in questo processo. Predichiamo bene, spieghiamo a nostro figlio che certe reazioni sono eccessive. Che non bisogna picchiare gli altri perché sono uguali a noi. Dall’altro, però, cadiamo nella trappola di credere che il ragionamento, il pensiero, l’ideologia siano sufficienti a giustificare un’azione che esprime odio.

E lo vediamo tutti i giorni e a tutti livelli. Nell’ultras, che aggredisce il tifoso “rivale” solo perché è colpevole di parteggiare per un’altra squadra. O nel prepotente che guarda male l’altro solo perché è troppo in carne o troppo magro o diverso da lui.

O il genitore che non riesce a gestire il figlio bullo e si giustifica dicendo: “è fatto così, non ci si può far nulla, anzi se provo a sgridarlo ci vado di mezzo io”. Abdicando così al suo ruolo di educatore. O come quel padre che attacca il maestro di scuola, o addirittura lo picchia, perché ha bocciato il bambino, o non lo ha promosso con il massimo dei voti. Proprio come tutte queste persone, dunque, che colgono un alibi fornito dai figli per tirare fuori quell’aggressività che diversamente non sarebbero capaci di esprimere, allo stesso modo la politica strizza l’occhio alla violenza. La giustifica, la sminuisce, non la condanna. La cavalca e la usa per scopi personalistici.

COME SALVARE I BAMBINI DAL RAZZISMO?

Ricordiamo che determinati gesti, per fortuna, non sono così diffusi. Non così tanto. Poniamo l’accento sul comportamento stupidamente feroce dell’aggressore, ma rammentiamo anche che spesso siamo circondati da persone diverse. È lui il deviante, non noi. Questo ci aiuta a sentirci meno soli. Riportiamo ai bambini lo stesso concetto. E ogni volta che si presenta l’occasione, parliamone. Affrontiamo il tema senza paura. Il dialogo, il confronto, è un bell’antidoto contro il razzismo.

Ricorriamo a fiabe, disegni, giochi e cartoni animati educativi. Tutta la società si dovrebbe muovere per disseminare la cultura dell’integrazione. 

E poi c’è il cibo: un aggancio straordinario ad altri mondi. Perché in grado di trasmettere direttamente, senza intermediazioni, la sapienza e l’intelligenza di una nazione. La mensa scolastica che propone anche pietanze di origini non italiane – la cosiddetta cucina etnica, cha ha già conquistato ed educato tanti adulti – appoggia concretamente questa cultura.

“C’è un libro, mamma, che posso leggere che mi insegni cosa è il razzismo, ma più semplice di quello che stai leggendo tu…”, mi chiede ancora mia figlia… 

La letteratura può rivelarsi un ottimo antidoto, penso, mentre sfoglio alcuni dei libri che mia figlia sembra determinata a voler leggere entro l’estate…

LIBRI CONTRO IL RAZZISMO CHE TUTTI I BAMBINI DOVREBBERO LEGGERE

Per i più piccoli

Abc dei popoli di Liuna Virardi. Bastano poche forme e pochi colori per disegnare tutti i popoli della Terra. Questo libro ne racconta 26, con usi, costumi, tradizioni e curiosità. E con semplici tratti grafici svela quanto, al di là delle apparenze, siamo tutti parte della stessa famiglia.

A braccia aperte, storie di bambini migranti. Dodici storie di bambini di tutto il mondo che migrano per costruirsi un futuro migliore: un libro che racconta ai bambini con semplicità e delicatezza, che i confini non sono muri invalicabili e che l’accoglienza fa vivere meglio perché il mondo è di tutti.

Io sono tu sei di Giusi Quarenghi. L’idea della bibliotecaria Marina per i suoi piccoli utenti è questa: divisi a coppie, ciascun bambino scriverà la biografia dell’altro… e i due diventeranno amici per la pelle! Il progetto funziona benissimo, specialmente per Beatrice, italiana, ed Aziza, di origine marocchina: raccontare la propria vita a un’amica, la vita può cambiartela davvero!

Il cielo non ha muri di Agustin Fernandez Paz. Helena e Adrian sono migliori amici. Un giorno però gli abitanti del paese decidono di costruire un muro che divida alcuni quartieri, e i due amici si ritrovano separati. Ma i bambini non si scoraggiano e si mettono alla ricerca di un modo per comunicare. Finché un giorno appare in volo una sorpresa meravigliosa, perché il cielo non ha muri…

Per i più grandi

No, il rifiuto che sconfisse il razzismo di Paola Capriolo. E’ il 1955 e in molti stati degli Stati Uniti le persone di colore non godono ancora di diritti pari ai bianchi: regole rigide dividono gli uni e gli altri. Un giorno come tanti, dopo essere salita sull’autobus e aver pagato il biglietto, Rosa Parks dovrebbe cedere il posto a un bianco nel bus affollato. Ma dice no… e comincia così una pagina nuova della storia americana.

Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda. L’incredibile viaggio del piccolo Enaiatollah Akbari che, partito dall’Afghanistan per salvarsi, arriverà in Italia. Una difficile odissea che, nonostante tutto, non è riuscita a fargli perdere l’ironia né a cancellargli dal volto il sorriso. Enaiatollah ha trovato un posto dove fermarsi e avere la sua età.

Se provi a contare le stelle di Daniella Carmi. Samir è un bambino palestinese che ha perso il fratellino, ucciso da soldati israeliani. Ricoverato per necessità in un ospedale israeliano conoscerà Jonathan, ebreo, appassionato di astronomia. Sarà lui a svelargli un mondo diverso, fatto di pianeti e di galassie, e gli farà capire che la guerra non può impedire che due bambini diventino amici.

Il razzismo spiegato a mia figlia. Tahar Ben Jelloun spiega alla sua bambina di dieci anni cos’è il razzismo, come nasce, perché è un fenomeno così tristemente diffuso, dando vita a un dialogo capace di trascendere i confini dell’occasione intima e familiare e porsi come dialogo aperto a tutti i lettori.

Dopo aver letto, anzi divorato tutti questi libri, non posso che dar ragione a Mandela… Sì, se gli uomini possono imparare a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l’amore è più naturale dell’odio.